Il duca di Genova, assalito di fronte e sui fianchi da quattro brigate del 2° corpo austriaco si mantenne per molte ore, con soli cinquemila uomini, nella sua posizione di Sommacampagna; costretto ad abbandonarla, e privato di due battaglioni, che tagliati fuori si ritirarono verso Villafranca, tenne fermo molto tempo ancora sulle alture della Berettara e di casa del Sole.
Il duca di Savoja, dopo avere respinto più volte gli assalitori, assalito ad ogni ora da truppe fresche, dovette da Monte Godio ritirarsi su Custoza, finchè, soprafatto dal numero, dovette abbandonare al nemico anche quelle alture. La battaglia era perduta. Di 80,000 uomini che componevano l'esercito piemontese, soltanto una quarta parte - è bene ripeterlo - aveva preso parte ai combattimenti.
Tuttavia anche con forze così sproporzionate si sarebbe potuto vincere, se la divisione Visconti non si fosse ritirata troppo presto di là dal Mincio, se Valleggio fosse stato fortemente occupata la sera del 23, se il De Sonnaz fosse accorso sul campo di battaglia al rumor del cannone, se il cattivo servizio dei viveri non avesse fatto ritardare le mosse dei duchi di Savoja e di Genova.
Il Bava attribuisce appunto al concorso di tanti eventi contrarî «che (così dice) il più esperto condottiero non avrebbe potuto prevedere», la perdita della battaglia.
Ma poichè di questi eventi impreveduti ne accadono in tutte le guerre, se fosse vero come pretendono i militari di professione, che un sottilissimo filo separa sovente la vittoria dalla sconfitta, non sarebbe questa una ragione di più per finirla, per sempre, col culto della guerra e dei guerrieri?
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