Più esplicite dichiarazioni faceva pochi giorni dopo all'Assemblea, nella seduta del 23 maggio, Lamartine, membro pur egli della Commissione esecutiva.
Dopo aver dichiarato quali principî avevano inspirato il Governo provvisorio fin dai primi giorni, dopo avere detto che «il rispetto delle nazionalità, il diritto e nello stesso tempo la libertà dei popoli» vietavano alla Francia «di portare la libertà agli altri popoli», pronunciava queste nobili parole:
«Ma se questi popoli fossero troppo deboli nei loro diritti legittimi, in quel diritto di rinascimento della nazionalità italiana, che è così legittimo... se questa indipendenza, se questo diritto fossero assaliti, la Francia è là, è ai piedi delle Alpi, è armata; essa dichiara altamente a voi, suoi amici, che al primo vostro segnale essa valicherà le Alpi, e verrà questa volta a porgervi la mano liberatrice della Francia».
L'indomani, il presidente del Comitato, che aveva esaminato i documenti diplomatici presentati dal governo, portava all'Assemblea il risultato delle sue deliberazioni, così formulato:
«L'Assemblea nazionale invita la Commissione esecutiva a continuare a prendere per regola di sua condotta i voti unanimi dell'Assemblea, riassunti in queste parole: Patto fraterno colla Germania; ricostituzione della Polonia indipendente e libera; riscatto dell'Italia».
L'unanimità dei rappresentanti votò con entusiasmo questa deliberazione.
È dunque una impudente menzogna l'asserzione, che fu per tanto tempo ripetuta in libri e giornali nostri, che il solo amico che l'Italia abbia avuto in Francia, sia stato, dal '48 in poi, Napoleone III; è falso che la Repubblica francese, quando era governata da repubblicani, richiesta di aiuto da governi italiani, abbia risposto con un rifiuto.
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