Anche l'arcivescovo, che s'era portato in mezzo agli insorti per indurli alla sottomissione, vi trovò la morte. Qualche storico però afferma che la palla che lo uccise non partì dalle barricate, ma da un balcone donde si tirava contro gli insorti.
Il generale Cavaignac, al quale l'Assemblea aveva rimessi tutti i poteri militari, che avrebbe potuto, spiegando forze sufficienti, finir la lotta fin dal primo giorno, la lasciò inconsideratamente, o perfidamente, dilatarsi e rafforzarsi, facendo così nei quattro giorni che durò la battaglia un maggior numero di vittime.
La repressione fu spaventevole. Molti insorti furono massacrati, quando avevano cessato di combattere. Storici degni di fede fanno ascendere a non meno di tremila i prigionieri fucilati sommariamente; un numero assai maggiore furono deportati oltre l'Oceano.
LA REAZIONE.
La reazione, dopo le giornate di giugno, non ebbe più ritegno. Il generale Cavaignac, in ricompensa della vittoria riportata sull'insurrezione, fu fatto capo del potere esecutivo. Furono soppressi trentasei giornali, promulgate leggi restrittive della libertà di stampa e di riunione, e creata una Commissione d'inchiesta sugli avvenimenti del 15 maggio e del giugno, che mirava specialmente a colpire Ledru-Rolin e L. Blanc. Quest'ultimo, benchè le accuse contro di lui rivolte fossero state tutte distrutte da irrefragabili testimonianze, dovette riparare a Londra, per sottrarsi al giudizio dei suoi nemici insediati anche nei tribunali.
Fu in questo periodo di reazione, quando la Repubblica era insidiata all'interno da opposti nemici, che arrivarono a Parigi i due delegati del Governo provvisorio di Lombardia per chiedere l'aiuto della Francia.
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