Corse voce che un battaglione d'italiani si fosse ricusato di partire.
L'istinto popolare d'una solidarietà fra la libertà in Austria e la causa della nazionalità in Ungaria, in alcuni il sentimento cavalleresco di dare agli ungaresi un pegno di questa solidarietà, in molti anche l'istinto di ribellione, tutto contribuì a riunire molto popolo per opporsi a quella partenza.
Ne venne una lotta, che fu la più sanguinosa di tutte quelle avvenute fino allora in Austria e in Germania.
Il combattimento cominciò sul ponte Tabor, dove la legione Accademica, gli allievi del Politecnico e molte guardie nazionali, assalirono la truppa in procinto di partire, togliendole quattro cannoni. Un generale, Bredy, vi fu ferito a morte.
In breve, la rivolta si estende a gran parte della città, che si riempie di barricate.
Dopo una lotta accanita, che copre di morti e di feriti la strada e il cortile del palazzo del ministero della guerra, i soldati sono battuti, il palazzo invaso. Il ministro della guerra, che vi stava nascosto, è scoperto. Nessuno in quel momento ricorda che l'uomo tanto odiato, una volta era popolarissimo, che aveva combattuto e sparso il suo sangue nella guerra d'indipendenza; nessuno è là per far appello ai sentimenti di umanità e di generosità dei vincitori.
La lotta terribile aveva ridestato nella folla gli istinti della belva. Il povero Latour fu trucidato in modo orrendo; portato in istrada, il suo corpo fu appeso ad una lanterna.
Fatti così nefandi disonorano una rivoluzione anche quando è legittima; ne affrettano negli altri casi la rovina.
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