«Sì, o signori, bisogna che una autorità superiore, un'unica giurisdizione si elevi sulle nazioni del mondo. L'unità è una legge assoluta della natura della società, come lo è di ogni armonia.
«.... I Cesari, Tamerlano, Carlomagno, Maometto, Gregorio, Napoleone furono fragili stromenti della tendenza irresistibile dei popoli verso quest'attrazione unitaria, in cui sembra che l'umanità possa trovare il suo riposo. L'unità si realizzerebbe ancora una volta nell'assolutismo d'un conquistatore, se prima non si effettuasse in un'imponente rappresentanza sociale, capace di coordinare gli elementi disordinati della sociabilità nel diritto comune dei popoli».
Per dimostrare l'importanza che avrebbe questo Congresso universale dei popoli, l'oratore fa constatare che, mentre i bisogni dei popoli sono corrispondenti, ciascun popolo ha bisogno di ricorrere ad altri per avere ciò che gli manca, dandogli in cambio ciò che a lui la natura dà in sovrabbondanza.
Aggiungasi che nessun commercio può prosperare all'interno, se non può estendersi anche al di fuori. Al commercio, egli soggiungeva, non altrimenti che allo spirito umano, occorre l'universalità.
Orbene, continuava il deputato Bouvet, soltanto un Congresso che tratterà e fisserà i rapporti dei diversi Stati dal punto di vista dell'universalità, ossia dell'interesse generale della civiltà, potrà dare al commercio la facilità, la libertà, la sicurezza di cui ha bisogno.
Questa suprema magistratura investita dell'autorità di trattare della politica del mondo intero da un punto di vista generale, risiedeva un tempo nella Chiesa, che l'esercitava mediante i Concilii ecumenici.
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