Il gen. Ramorino, comandante la divisione lombarda, era però stato informato della ricognizione di generali e ufficiali austriaci al Gravellone, dell'arrivo di molte truppe in Pavia, e perciò della probabilità di una irruzione del nemico in faccia alla Cava, che ordini precisi del generale in capo l'obbligavano a difendere.
Egli invece credette che il nemico volesse ingannarlo con un finto attacco da quella parte, e che il di lui piano fosse la imitazione di quello del Bonaparte nel 1800, di passare il Po presso Piacenza, e, operando dalla riva destra, mirare ad Alessandria.
E giudicando egli assai spropositato il piano di Chzarnowski, che aveva lasciato quasi indifeso l'importante sbocco di Stradella, pensò di correggerlo, trattenendo quasi tutta la sua divisione sulla destra del Po, in vicinanza a Stradella.
Se il nemico, come aveva supposto Ramorino, avesse fatto impeto da quella parte, non sarebbero stati i sei mila uomini da lui comandati, che avrebbero potuto tener testa a settantacinque mila austriaci.
Per la stessa ragione, se tutta la divisione lombarda avesse fatto una forte difesa alla Cava, come l'esigeva l'ordine del generale in capo, avrebbe solamente potuto, sacrificandosi tutta quanta, come un anno prima i Toscani a Curtatone, contenere il nemico non più di una mezza giornata. Ma quella mezza giornata, dando tempo a Chzarnowski di meglio orientarsi, avrebbe potuto metterlo in grado di prendere migliori disposizioni per la battaglia imminente.
L'avere disobbedito agli ordini ricevuti, senza dare neppure avviso al generalissimo delle di lui mutate disposizioni portò Ramorino al Consiglio di guerra, che lo condannò alla fucilazione, reo di tradimento.
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