Sembrava un vulcano che si fosse rovesciato sulla intrepida città.
«Eppure (son parole del consigliere Cassola, che fu uno del Comitato di difesa) Brescia non fu mai così maestosa e festevole come in quel momento. Le grida di gioia risuonavano dovunque; le bombe e le palle della moschetteria sembravano l'elemento nel quale soltanto i cittadini potessero gustare la felicità... Ad ogni bomba che vedevano cadere vicino: - Viva l'Italia! gridavano gli armati, e i ragazzi accorrevano festosi a raccoglierne i pezzi, e a quelle non ancor scoppiate levavano lesti la miccia. Se taluno cadeva alle barricate, vi erano subito dei supplenti che riprendevano l'arma e il posto, perchè non si ebbero mai sufficienti armi, per armare tutti quelli che volevano».
L'assalto durò fino a sera.
A mantenere nei cittadini l'ardore della lotta, e a prolungare una resistenza, che non faceva che accrescere il numero dei morti e dei feriti delle due parti, arrivarono in Brescia e furono diffusi, più giorni dopo la disfatta di Novara, falsi bollettini che annunciavano vittorie strepitose dell'esercito piemontese e ne davano i particolari.
Il 31 marzo giunse da Padova e da Verona il gen. Haynau col reggimento Baden, con battaglioni confinari del Banato, e con molta artiglieria.
Penetrato nel Castello per la porta di soccorso, annunciò il suo arrivo alla città, e ne intimò la resa.
Invece della sottomissione, tutte le campane suonarono a stormo, e da tutti i tetti e dai campanili della città un violento fuoco fu diretto contro la guarnigione del Castello.
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