Il battaglione Manara, sebbene un commissario del governo romano l'avesse dichiarato al servizio della Repubblica, dovette chiedere il permesso di sbarcare al generale Oudinot.
Questi, col pretesto che i bersaglieri lombardi non erano romani, pretendeva dovessero tornarsene d'onde erano venuti.
Dopo molte difficoltà ottennero di poter sbarcare a Porto d'Anzio, col patto, accettato dal commissario romano non da Manara, di tenersi lontani da Roma e rimaner neutrali fino al 4 maggio.
Quel giorno era il 24 aprile, e pel 4 maggio il gen. Oudinot calcolava di essere padrone di Roma.
Appena sbarcati, i soldati francesi avevano, uniti al popolo, innalzato sulla principale piazza di Civitavecchia un albero della libertà, intrecciandovi le bandiere della repubblica francese e della repubblica romana. Ma poco dopo occuparono militarmente il Castello e la Darsena, catturarono il battaglione romano Mellara, confiscarono 6,000 fucili, posero Civitavecchia in stato d'assedio, indi s'avviarono verso Roma.
Vi arrivarono il mattino del 30 aprile, e fidente il gen. Oudinot, che al primo presentarsi di truppa francese, la reazione, vittoriosa in città, l'avrebbe accolto festosamente, diede ordine alle sue colonne d'impadronirsi a colpi di cannone e a bajonetta di tre porte della città per trovarsi poi tutte riunite sulla piazza del Vaticano.
Qui diamo la parola ad uno scrittore non sospetto, il milanese Emilio Dandolo, cattolico e non repubblicano, il quale nelle sue Annotazioni storiche, I Volontari e i Bersaglieri lombardi, così parla dei romani:
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