Interprete di quei sentimenti fu lo stesso Giulio Favre, che nella seduta del 7 maggio chiamò, a dar conto dei fatti avvenuti, i ministri tutti in flagrante contraddizione colle loro solenni e precise dichiarazioni.
Faccio qui (egli disse, rivolto all'Assemblea) un appello solenne alla vostra memoria. Fu detto che la spedizione francese non poteva avere per oggetto di proteggere una forma di governo, che sarebbe respinta dalla popolazione romana.
Una voce:
È vero!
G. Favre:
Fu perfettamente convenuto, come principio, che una simile pretesa e la sua messa in esecuzione sarebbero un attentato contro l'umanità, non meno che contro la libertà.
Tale fu in sostanza la parola d'onore che ci fu data; ed è in conseguenza di questa parola d'onore, che il rapporto del quale io fui relatore, approvato dalla Commissione, fu portato a questa tribuna.
Il presidente del Consiglio, Odilon Barrot, colla spudoratezza della quale altri uomini di Stato, anche in tempi recenti, di Francia e di altri paesi, diedero prove più volte, osò sostenere che le istruzioni date al comandante il corpo di spedizione non erano contrarie alle dichiarazioni fatte dal governo all'Assemblea.
Questa, secondo le norme parlamentari, nominò, per l'esame della questione, una Commissione, della quale fu relatore un uomo onesto e liberale, il rappresentante Sénard.
Fra i documenti presentati dai ministri alla Commissione, ve n'erano, mandati dal rappresentante francese a Gaeta, che dicevano la truppa francese non avrebbe trovato, andando a Roma, alcuna resistenza, che, «tout le monde y accueillerait les soldats français».
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