Fu deciso di assalirli l'indomani con tutte le forze.
All'alba Garibaldi, senza darne avviso al generale in capo, si diresse colla sua legione su Velletri. I regi, vedendone lo scarso numero, uscirono dalla città per assalirla.
Respinti nel primo scontro, ripresero presto il terreno perduto, aiutati dalla loro cavalleria. La legione Garibaldi si gettò immantinenti nelle vigne che fiancheggiano la strada, e con un fuoco ben nutrito obbligò i regi a ritirarsi a tutta corsa in città.
Arrivato, quasi a passo di corsa, il resto dell'esercito romano, quando questo si accingeva a penetrare in città di viva forza, si vide l'esercito napoletano in piena ritirata.
Il Triumvirato avrebbe voluto che la marcia di tutto l'esercito fosse continuata e fosse invaso il territorio napoletano. Poi, sulle osservazioni ragionevoli del gen. Roselli, affidò tale incarico al generale Garibaldi, che fu poco dopo richiamato, quando il Governo si accorse della necessità di tener riunite in Roma le poche forze della Repubblica. - "Ma da quel momento" (scrisse Pisacane nel suo libro sulla guerra d'Italia negli anni 1848 e 1849) "non fuvvi più nell'esercito la medesima coesione, che fino a quell'epoca era regnata".
Il 3 Giugno.
Degno esecutore di una iniqua trama contro un libero popolo; il generale Oudinot, invitato con lettera dal generale Roselli a non denunciare l'armistizio senza un preavviso di 15 giorni, rispose con un rifiuto, dichiarando che gli ordini del suo governo gli prescrivevano di "entrare in Roma il più presto possibile" e "soltanto per dar tempo ai suoi connazionali di lasciar Roma, se l'avessero voluto, differisco (diceva) l'assalto della piazza fino a lunedì mattina almeno".
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