Ricevuto quell'ordine, senza attendere rinforzi, senza riunire i legionari, poco lontani, Masina si volge agli ufficiali di Stato maggiore gridando: andiamo noi, e tutti alla corsa si lanciano all'assalto, sfidando la grandine di palle che partono dal micidiale casino.
Il troppo animoso Masina, già precedentemente ferito in una spalla, cade mortalmente colpito da una palla, che gli trapassa il petto. La sua caduta non arresta gli altri, che cacciano a tutta corsa i cavalli entro il casino, si spingono su per l'ampia scalea che mette al primo piano, sorprendono i tiratori nemici, e li volgono in fuga.
Ma questa loro vittoria durò poco.
Alle 9 del mattino, i francesi, avendo portato al combattimento le loro riserve, occuparono tutte le ville che circondano e dominano la Porta di San Pancrazio. La Legione italiana, dopo sforzi incredibili ma alquanto disordinati, dopo aver lasciato sul campo quasi tutti i suoi ufficiali, i quali, ancor pieni dei ricordi di Montevideo, avevano combattuto più da soldati che da ufficiali, aveva dovuto mettersi in salvo entro il Vascello, davanti alle folte schiere dei francesi, che si avanzavano da tutte le parti.
Arrivarono allora i 600 bersaglieri lombardi, "gente addestrata alle manovre della catena e alle mosse di linea".
Emilio Dandolo e Pisacane e altri autorevoli scrittori militari fanno torto a Garibaldi di avere ordinato gli assalti con forze ogni volta impari allo scopo, anche quando poteva disporne di maggiori.
Ogni compagnia - scrisse Emilio Dandolo nel già citato libro - fece nobilmente il suo dovere; ma tutte, perchè adoperate isolatamente e successivamente, dovettero perdere quello che avevano guadagnato.
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