«Non vengo (diceva) qual guerriero o generale felice; sì bene non voglio parlarvi che come padre»; e dopo avere esposto, dal suo punto di vista, i danni di un intero anno di moti rivoluzionari e anarchici soggiungeva: «tengo in una mano l'ulivo, se date ascolto alla voce della ragione, la spada nell'altra, pronta ad infliggervi il flagello della guerra fino all'esterminio, se persistete nella via della ribellione», e conchiudeva esigendo la resa piena e assoluta e la consegna di tutti i forti.
Ricevuta la risposta di Manin, che ricordava avere l'Assemblea dei rappresentanti di Venezia unanimamente decretata la resistenza, Radetzky se ne tornò a Milano.
Occupando migliaia di lavoratori, Haynau si diè alla costruzione d'una seconda parallela alla distanza di cinquecento metri dal forte.
Allora cominciarono quelle vigorose sortite, nelle quali è difficile dire se fu più ammirevole la valentia dei capi o il valore dei militi. Più volte, scacciandone i difensori, i lavori di trincea furono in parte distrutti.
Altre egualmente fortunate sortite furono fatte tra il 16 e il 21 giugno, dai forti di Treporti e di Brondolo, il cui risultato furono per Venezia e Chioggia alcune centinaia di buoi e cavalli e vino e pollami, prezioso bottino, tolto al nemico.
Verso la metà di maggio il comando dell'assedio di Venezia era passato da Haynau al tenente maresciallo Thurn, essendo stato 1'Haynau chiamato al comando generale dell'esercito austriaco combattente contro l'Ungheria, dove l'eroe delle stragi di Brescia salì all'apogeo dell'infamia colle sue ferocissime repressioni, a cui ricorse anche là.
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