Il vessillo italiano che sventolava sugli spalti cadeva abbattuto dai proiettili nemici e tutti gli artiglieri accorrevano giulivi a rialzarlo. Alla lunetta 13, caduti ad un tempo feriti tre artiglieri, prontamente tre giovani artiglieri si presentarono a surrogarli. Al bastione n. 5 un appuntatore stramazza al suolo colpito da una palla di cannone, due altri incontrarono in seguito l'egual sorte, ma ciò non trattiene il quarto dallo slanciarsi ad occupare il pericoloso posto.
I chirurghi non erano i meno esposti; ad ogni momento s'udiva il grido: «l'ambulanza»; non abbisognava ripeterlo una seconda volta, che gli ufficiali sanitari accorrevano in mezzo alla grandine de' proiettili per prestar soccorso ai feriti.
Dolorose rimembranze! Quante giovani e vigorose vite spente, quanti corpi mutilati, quanti patimenti sofferti!...
Nel giorno 24 l'assediante smontò diciasette pezzi in meno di due ore; spianò al suolo la batteria della casamatta n. 1, senza che si sia potuto più ristabilirla; fece saltare parecchi depositi di polvere.
La guarnigione, forte di 2047 uomini, ebbe in quel solo giorno 50 morti e 100 feriti.
Il mattino del 25 il fuoco ricominciò dalle due parti con pari vigore; ma quello dell'austriaco aumentava d'intensità mano mano che quello dei veneziani scemava. Divenute inservibili le casematte, smontati i pezzi sui bastioni più fulminati, distrutti i ponti, e, cosa più grave, quasi interrotte le comunicazioni con Venezia, la difesa di Malghera diveniva impossibile.
Nondimeno quei prodi, disposti a soccombere tutti sotto le rovine del forte, non vollero sgombrarlo se non dopo ricevuto un ordine scritto, col quale «sentito il parere del generale in capo (gen.
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Venezia Malghera
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