Uno che prima traeva da vivere da un giardino coltivato a fiori, vedendolo ogni dì bersagliato dalle palle che vi cadevano, non l'abbandonò mai, e soleva dire: «Se i croati mi distruggono il giardino, mi mandano invece di buoni bezzi».
Una donna del popolo, madre di molti figliuoletti, veduta un'altra più misera di lei sulla soglia della chiesa di S. Marco, che non aveva più latte pel suo bambino, se lo prese e volle allattarlo ella medesima.
Di esempi di abnegazione e di amor fraterno la storia dell'assedio di Venezia è piena.
I ricchi e gli agiati davano nella misura delle loro forze a quelli che di tutto mancavano, e fra chi dava e chi riceveva v'era uno spontaneo ricambio di aiuti.
Era una gara nel bene! Il pericolo, i disagi, il comune dolore avevano fatto tacere i bassi istinti egoistici, mettendo in azione i sentimenti più nobili e generosi.
Dottrinari dell'egoismo, perchè non studiate la storia nei suoi momenti più memorabili?
Al bombardamento, che in pochi giorni produsse entro Venezia quaranta incendi, si aggiunse il morbo asiatico, il quale, cominciato con pochi casi isolati, seguitò mano mano a infierire, fino a che in un sol giorno vi furono quattrocento colpiti e duecento settanta morti. Ma il popolo veneziano, che il bombardamento non aveva atterrito, non si lasciò sgomentare neppur dal colèra. Ei giudicava come nemici e traditori quanti in quei frangenti manifestavano desideri di capitolazione; e bastò la voce d'uno scritto firmato dal patriarca che esortava ad accettare le condizioni offerte da Radetzky, perchè il popolo corresse in massa all'Arcivescovato, ne invadesse il palazzo, ne distruggesse preziose suppellettili, e minacciasse di peggio, se a distoglierlo non accorreva Nicolò Tomaseo, in quei giorni l'uomo più amato e più venerato di tutto il popolo veneziano.
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