L'animo grande di Kossuth doveva palpitare nel dubbio angoscioso che l'uomo, da lui stesso elevato al comando supremo, non operasse a danno della patria. Kossuth non ebbe il coraggio di assumere la responsabilità di surrogarlo con altro generale nella condotta della guerra. E fu la perdita dell'Ungheria.
Intervento della Russia.
Lo czar di Russia, che, per odio istintivo alla rivoluzione, aveva già da un anno offerto l'aiuto delle sue armi al re di Prussia e all'imperatore d'Austria per schiacciare i loro sudditi ribelli, si credette direttamente minacciato quando seppe che nelle file degli honved militavano migliaia di profughi polacchi, coi loro generali Bem e Dembinski, i quali avrebbero potuto facilmente scendere nella Galizia, e di là gettarsi nella Polonia russa.
Era nel frattempo avvenuta l'abdicazione del mezzo scemo Ferdinando, a cui era succeduto il diciottenne nipote Francesco Giuseppe.
Questi, abboccatosi a Varsavia collo czar Nicolò, ne accolse subito le cavalleresche offerte. Ai 26 di aprile lo czar pubblicava il manifesto alle sue truppe, annunciando loro, che le mandava in ajuto dell'Austria per domare la rivoluzione.
Ai 4 di maggio l'antiguardo russo passava per Cracovia, seguito da 106.000 fanti e 23.000 cavalli, che sotto il comando di Pasckiewitcz, principe di Varsavia, venivano a dar mano sulle rive della Waag al generale austriaco Welden.
Dalla parte orientale i generali russi Lüders, Engelhardt, Freitag, salendo dalla Valacchia, rientravano più forti in Transilvania per battere il terribile Bem e il patriota Nagy-Sandor.
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