Voleva rialzare a proprio profitto il trono napoleonico, e, per arrivarvi, tutti i mezzi giudicava buoni, se necessarî.
Conseguito il suo fine, avrebbe governato volontieri con equità, se i suoi nemici glielo avessero concesso.
Non si curò di quella inezia che si chiama legge morale, e dimenticò che un paese civile, che ha il sentimento della propria dignità, non può sopportare a lungo, come sovrano, un uomo il quale, per regnare, ha quella legge violentemente offesa.
Egli pensò solamente che, vincendo, il mondo vile l'avrebbe assolto dei delitti commessi, fossero pur molti e spaventevoli.
Così fu. Il plebiscito approvò le basi della Costituzione, da lui tracciate pro domo sua, e insieme il colpo di Stato, con 7,439,216 voti, avendone soli 640,737 contrari.
La rendita francese, che il 1° dicembre era a 91,60; il 16 dicembre salì a 100,90.
Le potenze si affrettarono a riconoscere il nuovo Governo di Francia, essendo ormai stabilito che un Governo, in qualunque modo costituito, davanti all'estero rappresenta la nazione.
L'opinione pubblica del mondo civile fu colpita dapprincipio da grande stupore all'annuncio del colpo di Stato; visto poi che la Francia vi si era adattata, lo considerò come un fatto naturale nella storia delle alterne vicende di rivoluzione e reazione della Francia contemporanea.
La grande Revue des Deux Mondes così commentava il 16 dicembre 1851 la situazione politica:
Si getti lo sguardo all'interno come all'estero: l'impero si stabilisce senza ostacolo, senza contestazione, senza resistenza.
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