Improvvisamente tutta questa lieta serena credenza fu disturbata dalla «Questione di Oriente» - la questione che cosa si dovesse fare con l'Oriente d'Europa. Era certo che le cose non potevano rimanere com'erano, ma niente altro era certo6.
Dacchè era cominciato il suo decadere, la Turchia aveva cessato di essere per la Gran Bretagna un elemento temibile, mentre le dava pensiero il rapido incremento della Russia.
Quando lo czar Nicolò I visitò per la seconda volta l'Inghilterra nel 1844, s'intrattenne più volte con Lord Wellington e con Lord Aberdeen, ministro degli esteri, intorno alla non lontana dissoluzione della Turchia, ch'egli considerava inevitabile. Non solo inevitabile, ma credeva prossimo il giorno in cui «l'ammalato» - come lo czar chiamava la Turchia - sarebbe venuto a morte.
Ritornato in Russia, Nicolò fece stendere dal suo cancelliere un memorandum, conforme alle impressioni avute nei suoi colloqui cogli uomini di Stato inglesi.
Il memorandum parlava dell'assoluta necessità della Turchia di adempiere i propri impegni e di trattare i suoi sudditi cristiani con spirito di tolleranza e con mitezza. A queste condizioni, Inghilterra e Russia consentivano alla sua conservazione; ma il memorandum non taceva il fatto che l'impero ottomano conteneva in sè stesso elementi di dissoluzione, e che imprevedibili eventi avrebbero potuto quando che fosse, precipitarne la caduta.
Il gabinetto inglese, che diffidava molto di Nicolò, si limitò a rispondere a quel memorandum, che non gli pareva conforme all'uso entrare in trattative per la spogliazione di una potenza amica, e che inoltre l'Inghilterra non desiderava di prendere il posto della Turchia in qualsiasi dei suoi possedimenti.
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