Arrestato a Vienna e tradotto a Mantova, si sottrasse alla pena capitale con una fuga così piena di pericoli e di drammatici incidenti che, quando fu conosciuta, dal racconto che Orsini stesso ne fece nelle sue Memorie, interessò e commosse più che un romanzo.
Nelle lunghe meditazioni del carcere, e riflettendo, quando fu libero, sulle condizioni reali d'Italia, egli venne nella convinzione che i moti insurrezionali promossi da fuorusciti, anzichè giovare, avrebbero sempre nuociuto alla causa della rivoluzione e dell'indipendenza italiana.
Accortosi poi, che, non ostante le tristi lezioni del passato, Mazzini persisteva nell'idea di tentativi insurrezionali orditi all'estero, che finivano tutti in disastri, come avvenne in quell'anno della sommossa di Genova e della spedizione di Sapri, la ruppe bruscamente con lui.
Quali le sue idee e quali le sue speranze sulla liberazione d'Italia parlano le Memorie, che diede allora alle stampe.
Alla domanda ch'egli rivolgeva a sè: «Possiamo noi senza un esercito organizzato e compatto, cacciare gli austriaci?» Orsini rispondeva recisamente: No.
E aggiungeva: «Servirò il governo sardo quanto so e posso per la guerra italiana».
In una lettera del 27 agosto 1856 ad Antonio Panizzi, il celebre bibliotecario del Museo britannico, scriveva:
Se il governo sardo stimasse di potersi valere di quel poco ch'io valgo in qualunque impresa, per quanto audace possa essere, io sono pronto. Ben inteso per la indipendenza della mia patria; per la quale fin da giovane non ebbi mai quiete e sacrificai tutto.
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