... Ma quali sono le disposizioni reali dei popoli d'Europa? Di levarsi al cadere di lui; di darsi l'un l'altro la mano; di mettere in atto ciò che vuole la solidarietà delle nazioni.
La «soppressione» di Napoleone III doveva perciò presentarsi alla sua mente come una necessità per togliere il maggiore ostacolo che, nel pensiero suo e di tutti i fuorusciti, si opponeva alla liberazione d'Italia.
S'aggiunga che, dopo la sua rottura con Mazzini, Orsini era stato fatto segno per parte dei mazziniani, alle più atroci ingiurie. Il loro giornale, che si pubblicava a quel tempo in Genova, dopo averlo trattato non soltanto come transfuga, ma come un fanfarone senza coraggio, uomo più di ciancie che di fatti, giunse perfino ad affermare che da Mantova era uscito, non arrischiando la sua vita calandosi dalle finestre, ma dalle porte che le stesse autorità austriache gli avevano aperte.
Felice Orsini non era stinco di santo; toccato nel vivo, volle con un gran colpo dimostrare se amava coi fatti l'Italia, e chi, fra lui e i suoi detrattori, aveva maggior coraggio.
E di un coraggio veramente spartano egli diede prova, senza impallidire un solo istante davanti ai giudici e davanti al patibolo.
D'accordo con lui, il difensore, avv. Giulio Favre, celebre repubblicano, non cercò d'impietosire i giudici, nulla disse per sottrarlo all'inevitabile supplizio. Mostrando invece come soltanto l'idea della patria da redimere, a cui Orsini fin da giovanetto aveva consacrato tutta la vita, l'avesse spinto all'orribile attentato, ne prese occasione per perorare la causa, non dell'imputato, ma dell'indipendenza italiana.
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