Verso l'Italia la politica di Cavour non era meno ardua, poichè doveva suscitare lo spirito rivoluzionario e nello stesso tempo contenerlo; doveva, per l'esecuzione del suo piano, assicurarsi il concorso della democrazia italiana, mentre ei sapeva che questa sentiva per Napoleone III una profonda avversione.
A rendere difficile il piano di condotta che Cavour si era proposto verso il governo napoleonico, era intervenuto fin dal principio un fatto piuttosto grave. Una effemeride torinese, La Ragione - in cui scriveva Ausonio Franchi, allora razionalista e repubblicano intransigente - parlando dell'attentato di Orsini, aveva fatto l'apologia del regicidio.
È facile imaginare l'impressione che ne ebbe il governo francese, che subito dopo il 14 gennaio aveva indirizzato alla Sardegna, come all'Inghilterra, al Belgio e alla Svizzera, note di carattere quasi minaccioso, che reclamavano provvedimenti atti a prevenire il rinnovarsi di simili attentati.
Denunciata in quel frattempo La Ragione al Tribunale, fu assolta dai giurati.
I nemici della libertà italiana fuori d'Italia ne furono lieti, e il Cancelliere austriaco, conte Buol, sulle notizie avute dal ministro di Francia a Vienna, rallegravasi che una buona lezione sarebbe stata data dalla Francia al Piemonte.
Cavour vide il pericolo, e pensò subito al riparo.
Presentò al parlamento un progetto di legge inteso a meglio precisare e punire il reato di cospirazione contro la vita dei sovrani stranieri e di apologia dell'assassinio, e a modificare il corpo dei giurati.
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