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      Ma un popolo di tanta sapienza da gettarsi, in un gran rivolgimento senza bisogno di chi si faccia interprete dei suoi interessi e della necessità dei tempi, e gli indichi con un nome o una bandiera, una chiara via d'azione, non s'è mai visto; e Mazzini medesimo aveva seguìto per molto tempo la via che ora biasimava in Manin, dando al popolo italiano, come arra di salute, il suo credo politico.
      Dimenticava inoltre che la neutralità dei partiti sui destini d'Italia, fino alla definitiva vittoria sui suoi nemici, era stata proclamata nel 1848, ma, da nessun partito rispettata, era stata non ultima causa dei disastri della causa nazionale in quell'anno.
      Quelli che avevano maggior ragione di dolersi del programma di Manin e della Società Nazionale Italiana (questa, progettata da Manin e Pallavicino, fu costituita regolarmente nel 1857, quando Manin era già morto) erano i federalisti.
      L'unità della nazione per la rappresentanza degli interessi politici generali, e nei rapporti colle estere nazioni, la volevano anch'essi; ma non volevano distrutti gli organismi dei varii Stati d'Italia, che rispondevano, secondo essi alle differenze d'indole, di tradizioni e d'interessi esistenti fra regione e regione; ed era cotesta distruzione che prevedevano sarebbe fatalmente avvenuta, facendo della monarchia di Savoia il fulcro della rivoluzione.
      È ben vero che Manin voleva, non l'assoggettamento, bensì l'alleanza della rivoluzione e della monarchia; ma era facile prevedere che, venuto il momento dell'azione, chi aveva un governo, un esercito, una diplomazia e un'immensa coorte di interessati alla sua fortuna, avrebbe preso nelle proprie mani la direzione del movimento, e imposto le sue condizioni, anzichè subirle dalla rivoluzione.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume secondo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1904 pagine 328

   





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