E soggiunge:
L'imperatore mi parve avesse idee molto giuste sulla maniera di far la guerra, e sulla parte che i due paesi dovevano rappresentarvi.
Cavour, solitamente così sagace, così fino e previdente, si comportò su questo punto con una inconsideratezza non perdonabile in un uomo di Stato quale egli era.
Non ci voleva molta fatica per comprendere che a Napoleone l'alleanza per la guerra contro l'Austria interessava non meno che al Piemonte, e forse più che al Piemonte.
Non era dunque il caso di accettare incondizionatamente i patti che più piacevano a Napoleone III, ma anche di fissarne, fra i quali principalissimo quello che nella guerra che si trattava di preparare il pondo principale dovesse spettare all'Italia.
Chiedere e accettare in una guerra d'indipendenza l'ajuto d'altre nazioni, è cosa giusta e alla civiltà proficua, perchè rafforza e mantiene il sentimento di solidarietà tanto necessario e benefico ai popoli; e perchè quanto sono maggiori le forze portate in campo a difesa della giusta causa, tanto più breve riesce la guerra, e in minor numero le vittime.
Ma l'ajuto non doveva significare preponderanza di forza dell'alleato.
La causa era essenzialmente italiana; la guerra veniva fatta per l'indipendenza, per la libertà, per le migliori sorti d'Italia. Era dunque di suprema necessità che il paese nostro vi si gettasse con tutte le sue forze, quelle regolari del Piemonte e quelle insurrezionali delle altre parti d'Italia.
È sovratutto dalle prove di gagliardia, di sacrificio e di coraggio date nei momenti in cui si decidono i suoi destini, che un popolo trae la coscienza dei suoi diritti e della sua forza, si assicura la fiducia degli amici e il rispetto di tutti.
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