La Società Nazionale nel suo giornaletto e in opuscoli, che faceva nascostamente diffondere a più migliaia di copie nelle provincie che dovevano insorgere, espose tuttavia molte verità contro lo spirito settario, contro le fallaci illusioni di facili vittorie e sul municipalismo politico; nè fu avara di profetici ammonimenti, dei quali avrebbero dovuto tener conto i patriotti di maggiore autorità nelle provincie non libere e il governo sardo.
Le armi ausiliarie (diceva) non sono di pericolo, nè tornano di disdoro, se si aggiungono alle proprie numerose e bene ordinate... Ma se è savio e onorevole avere alleati, è somma viltà e follia il voler vincere col solo loro braccio, e metterci a discrezione dei forestieri.
..... Una guerra d'accordo colla Francia è il mezzo più sicuro di ricuperare la nostra indipendenza; ma una guerra francese in Italia non sarebbe che mutamento di servitù. Acciochè questo non segua, richiedesi, in guerra, avere esercito sì numeroso e gagliardo che le armi francesi non sieno mai prevalenti in Italia... Se Vittorio Emanuele starà in campo capitano di 300,000 combattenti, le sorti nostre staranno nelle nostre mani, e l'amicizia e l'ajuto francese non ci potrà tornare di alcun pericolo.12
Niente di più opportuno e di più giusto di questi consigli. Dove invece la Società Nazionale, o meglio il Lafarina, peccò di eccesso, fu nel sostenere, col pretesto che la dittatura militare è necessaria in guerra, la necessità di una dittatura incondizionata anche in tutte le cose di governo, e nel voler respingere, come sempre fece qualunque opera di savia previdenza civile, diretta a impedire che la dittatura consentita per la guerra, fosse poi volta a fini diversi.
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