Garibaldi.
In Garibaldi si fissavano anche allora le maggiori speranze dei vecchi combattenti e dei giovani più animosi. Essi vedevano in lui la personificazione della parte bella, generosa e purissima della rivoluzione italica: nella rivendicazione dell'indipendenza della patria difendere l'umanità; combattere, odiando la guerra, per far regnare la giustizia e la pace in Italia e nel mondo.
I giovani sentivano che, guidati da Garibaldi, la vittoria non sarebbe mancata.
I suoi fasti già grandi di guerriero invitto e straordinario, erano stati ancor più ingranditi dalla fantasia popolare.
Ognuno sentiva che, se Garibaldi aveva effettuato cose grandi, combattendo sempre con poche forze, molto maggiori avrebbe potuto compierne con forze proporzionate al suo genio.
Certo è che Garibaldi era allora per il Piemonte una grande forza; Cavour lo sapeva, e voleva giovarsene anche per togliere credito e forza al partito d'azione, come allora chiamavasi il partito mazziniano. Non era infatti piccola fortuna per il governo sardo, nel momento in cui Mazzini non cessava da Londra dallo scongiurare la gioventù italiana a non riporre fiducia nella politica di Cavour, che, a sentirlo, nell'alleanza napoleonica preparava nuovi tradimenti all'Italia, il mostrare che al concetto fondamentale di quella politica aveva aderito un uomo popolarissimo, della cui antica fede repubblicana nessuno poteva muover dubbio, Garibaldi.
Fin dal 1856, a Giorgio Pallavicino, che gli aveva comunicato il programma dell'unificazione d'Italia colla casa di Savoia, Garibaldi aveva risposto: "Sono con voi, con Manin e qualunque dei buoni Italiani che mi menzionate.
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