Ricordando questi fatti, Garibaldi poco tempo dopo scrisse queste amare parole:
Dopo pochi giorni della mia permanenza a Torino, ove dovevo servire di richiamo ai volontari italiani, io mi accorsi subito con chi avevo da fare e che cosa da me si voleva. Me ne addolorai, ma che fare? accettare il minore dei mali, e non potendo operare tutto il bene, ottenerne il poco che si poteva, per il nostro infelice paese.
Garibaldi doveva far capolino, comparire e non comparire: sapessero i volontari ch'egli si trovava a Torino per riunirli, ma nello stesso tempo chiedendo a Garibaldi di nascondersi, per non dare ombra alla diplomazia.
Che condizione! Chiamar i volontari e molti, per comandarne poi il minor numero possibile, e di questi coloro che si trovavano meno atti alle armi.
I volontari accorrevano, ma non dovevano vedermi. Si formarono i due depositi di Cuneo e Savigliano, ed io fui relegato a Rivoli, verso Susa20.
È molto probabile che Cavour, avrebbe potuto dare a Garibaldi maggiori forze da comandare; aggiungere sovratutto ai Cacciatori delle Alpi alcuni battaglioni di bersaglieri, come in principio a Garibaldi era stato promesso.
Ma chi specialmente avversò l'istituzione del corpo di volontari fu il generale La Marmora, ministro della guerra, il quale si considerò sempre legato dalla Convenzione segreta, già da noi citata, stipulata fra lui e il maresciallo Niel, nella quale egli ebbe il torto imperdonabile di consentire che non si formassero corpi irregolari in una guerra d'indipendenza, che avrebbe dovuto essere essenzialmente italiana, e nella quale era facile prevedere che i corpi volontari sarebbero sorti per moto spontaneo del sentimento nazionale: ed era grande interesse dell'Italia di averne molti, non mai di impedire che sorgessero.
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