E dell'Europa, di cui la parte pił avanzata aveva il culto delle nazionalitą e della libertą, e l'altra quello della pace, l'Austria si alienava tutti, popoli e governi, condannandosi da sč medesima all'isolamento.
Mettendo in non cale le esortazioni amichevoli dell'Inghilterra, provocando egli medesimo la guerra, dopo aver fatto la proposta del disarmo di tutte le potenze, l'imperatore d'Austria obbediva al sentimento tradizionale del despotismo, che considera i popoli retaggio per diritto ereditario o di conquista, di poche famiglie privilegiate. Nč, rompendo guerra, cedeva a un colpo di testa.
Egli sapeva che all'esercito francese, per mettersi in assetto di guerra, occorrevano ancora due mesi. Facendo assalire all'improvviso il piccolo esercito piemontese dalle poderose forze austriache, tenevasi sicuro di sbaragliarlo, e di dettare la pace in Torino, prima che vi giungesse l'esercito francese.
Fu giorno solenne quello in cui, giunti a Torino gli ufficiali di Giulay, portatori dell'ultimatum, il conte Cavour, fatta alla Camera la storia dei negoziati, che l'Austria medesima rompeva, chiese pieni poteri pel re, che, disse, «si apparecchiava a combattere per la libertą e l'indipendenza!»
I pieni poteri, due ore dopo, erano concessi con 110 voti favorevoli, e 24 contrari. Questo annunzio fu salutato da fragorosi applausi da tutti i lati della Camera, e da grida di Viva il Re! Viva l'Italia!
Uscendo dal palazzo Carignano, ad un amico che lo attendeva di fuori, Cavour disse:
Esco dalla tornata dell'ultima Camera piemontese; la prossima sarą quella del regno d'Italia.
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