I Cacciatori delle Alpi.
Il 20 maggio, il giorno stesso del combattimento di Montebello, il gen. Garibaldi lasciò Biella coi suoi Cacciatori delle Alpi, dopo aver fatto loro deporre in appositi magazzini lo zaino, per averli più lesti nelle marcie di giorno e di notte.
Quella piccola brigata conteneva quanto vi era allora di poetico, di alto e di generoso nel patriottismo. V'erano, ultimi avanzi del carbonarismo, uomini incanutiti nell'esilio, e giovanetti quattordicenni; artisti già famosi, letterati e pubblicisti, allora ignoti a tutti, tranne che a pochi amici, che poi acquistarono grande autorità nel parlamento e nella stampa, rappresentanti di antica prosapia e oscuri popolani, ricchi e poveri. Erano in maggior numero lombardi, ma v'erano giovani di tutte le regioni d'Italia, e anche non pochi stranieri, specialmente francesi, che non avevano perdonato a Napoleone III il Due Dicembre, ma, lieti di partecipare ad un'impresa liberatrice di cui egli s'era fatto campione in nome della Francia.
Erano, i nostri, quasi tutti repubblicani, che fedeli agli antichi insegnamenti, non alle ultime deprecazioni di Mazzini, anteponevano l'indipendenza della patria alla questione della forma di governo.
Nessuno o ben pochi badavano ai gradi; e uomini di scienza e avvocati e ingegneri erano lieti di militare come semplici gregari, comandati da giovani, i quali vedevano nella milizia aperta per essi una nuova carriera.
Non amavano la guerra, ma odiavano l'oppressione, e molti fra essi avrebbero sottoscritto alle parole che Garibaldi scrisse più tardi di sè medesimo:
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