Dopo una sosta di poche ore in piazza Castello, le scompigliate truppe austriache ripresero la loro marcia verso il Mincio.
L'ultimo loro corpo era ancora entro le mura, quando, abbattute dovunque le insegne austriache, si videro sventolare dagli edifici pubblici e dalle case private, a migliaia, le bandiere dai colori nazionali.
Il municipio, l'indomani, in un proclama alla cittadinanza, dichiarò soddisfatto il voto dei lombardi, che nel 1848 avevano votato l'annessione della Lombardia al regno di Sardegna. Ma dimenticava che a quel voto era unita la condizione della riunione di un'Assemblea Costituente per stabilire i patti dell'unione. Trattavasi di riunire sotto un antico regno popolazioni che avevano leggi e statuti amministrativi e tradizioni proprie. Una Costituzione uscita dallo studio e dal consenso dei rappresentanti di tutta la nazione avrebbe rispettato le autonomie nazionali, che non ledono gli interessi generali dello Stato, e dato al governo centrale tutte le attribuzioni concernenti la diplomazia, l'esercito e quanto era necessario a mantenere il legame delle diverse parti del regno.
E ciò che non vollero a nessun costo gli statisti piemontesi, secondati in Lombardia, e più tardi nell'Italia centrale, da quelli che ebbero maggiore autorità sulle popolazioni.
Si confuse l'unità coll'accentramento più ingombrante sul modello francese. I pieni poteri concessi dalla Camera subalpina per le contingenze della guerra, servirono, tutti tacendo, ad imporre leggi esotiche, empiriche, irrazionali, che neppure il parlamento subalpino aveva votato.
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