Tre giorni e tre notti furono appena bastanti per seppellire i morti rimasti sul campo di battaglia.
Non bastando il numero dei soldati tolti da ogni compagnia, fu d'uopo ricorrere, per questo servizio, anche all'opera di contadini.
Tutti i cadaveri vennero deposti in grandi fosse comuni.
Qui il Dunant fa un rilievo spaventevole.
«Sventuratamente (egli scrive) tutto porta a credere che nella precipitazione, per l'incuria, la negligenza dei mercenari, più d'un vivente sia stato cacciato nella fossa insieme ai morti».
Ciò, secondo parecchi storici, accadde in molte altre guerre, ma è una particolarità trascurabile per coloro che vedono nella guerra la bellezza, la poesia e l'eccellenza della natura umana.
Delle migliaia, che più non dovevano vedere nè la sposa, nè i figli, nè i vecchi genitori, di cui erano l'idolo, alcuni colpiti in pieno viso, molti spirati fra atroci tormenti, non erano più riconoscibili.
Quando la lunga e faticosa opera della levata e del trasporto dei feriti alle ambulanze dei paesi più vicini fu finita, il dott. Dunant fu adibito a quelle di Castiglione delle Stiviere.
Qui non ebbe fine il martirio dei poveri feriti. Il numero di questi era così enorme, che gli abitanti e il piccolo distaccamento di truppe lasciato a Castiglione non bastavano a provvedere a tutto l'occorrente.
V'era acqua e v'erano viveri, e tuttavia i soldati morivano di fame e di sete. V'erano filaccie in abbondanza, ma non abbastanza mani per applicarle alle piaghe.
«Quali agonie e quanti patimenti (esclama Dunant) nelle giornate del 25, del 26 e del 27 giugno!
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