«Le ferite inasprite dal caldo, dalla polvere, dalla mancanza d'acqua e di cure, divengono dolorosissime.
«Esalazioni mefitiche ammorbano l'aria, non ostante tutti gli sforzi per tenere in buono stato i locali d'ambulanza.
«Le chiese di Castiglione sono trasformate in infermerie. Francesi, tedeschi, slavi, arabi, italiani sono ammassati sino nel fondo delle cappelle. Molti di questi feriti non possono muoversi, nè voltarsi nel piccolo spazio che occupano. Imprecazioni, bestemmie, grida, che nessuna espressione può ritrarre, echeggiano sotto le volte dei santuari.»
Dunant fa l'elogio delle donne lombarde, giovani e vecchie, improvvisatesi infermiere, le quali, aiutate da ragazzi, che vanno ad attingere l'acqua alle fontane, si adoperano con gran zelo a calmare la sete e a inumidire le piaghe dei feriti. «Tutti fratelli!» esse dicono, non facendo distinzione fra alleati e austriaci.
«La loro dolcezza, la loro bontà, la loro compassione, le loro cure piene d'attenzione, rialzano un poco il coraggio dei feriti». Ma esse non bastano.
Alcuni generosi, qualcuno accorso anche dall'estero, vennero poi ad offrire la loro assistenza.
«Ma presto, (ricorda il Dunant) parecchi di questi infermieri volontari si ritirarono, incapaci di sopportare lo spettacolo dei patimenti che avevano sotto gli occhi».
A dare un'idea riassuntiva di ciò che sia la guerra per coloro che ne sono vittime, delle molte pagine che il Dunani dedica ai ricordi di Castiglione, riproduciamo questa sola:
«Ah, Signore, quanto io soffro!
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