Vittorio Emanuele e Cavour.
Quando Vittorio Emanuele ebbe da Napoleone comunicazione della Convenzione di Villafranca, protestò, dicendo che gli italiani avrebbero continuato la guerra anche da soli.
«A votre aise (gli avrebbe risposto l'imperatore), ma badate che invece di uno, potreste trovarvi a combattere due nemici!»
Seguì una pausa, durante la quale i ricordi di Custoza e di Novara, e il pensiero dei momenti difficili della giornata di San Martino devono aver raffreddato l'ardore bellicoso del re, il quale, prevedendo i danni incalcolabili che sarebbero derivati all'Italia da una rottura con Napoleone, terminò il colloquio, assicurandolo della perenne riconoscenza sua e degli italiani per ciò ch'egli aveva fatto per la loro indipendenza.
Nel firmare i preliminari di pace aggiunse però queste parole: «Accetto per ciò che mi concerne».
L'uomo che allora non seppe nè rassegnarsi, nè frenarsi, fu Cavour.
Venuto precipitosamente da Torino, e presentatosi al re in uno stato di grandissima irritazione, gli disse che gli interessi dell'Italia erano stati traditi, e la dignità regia brutalmente oltraggiata dalle condizioni di pace, e che il re doveva immediatamente respingerle.
Il conte Carlo Arrivabene, che trovavasi in quel momento in Monzambano, quale corrispondente dal campo del Daily News, così scrisse in una delle lettere mandate in quei giorni al giornale londinese:
«Si asseriva, e in generale vi si prestava fede in Monzambano, che il furore onde Cavour era invasato, si manifestò con espressioni abbastanza irrispettose da aver costretto il re a volgergli le spalle.
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