Garibaldi, chiamato a Torino dal re, e da lui indotto a rinunciare all'esecuzione del suo disegno, diede le dimissioni dal comando che aveva nell'esercito dell'Italia centrale.
Si fece allora promotore, con un manifesto agli italiani, di una sottoscrizione per un milione di fucili. Pochi, troppo pochi, ma alcuni con offerte cospicue, risposero al patriottico appello.
In quei giorni il ministero Lamarmora Rattazzi, oscillante sempre fra opposte tendenze, senza il coraggio di farsi energico sostenitore della causa delle annessioni, divenuto impopolarissimo in Lombardia, a cagione delle leggi amministratine che le aveva imposte, approfittando dei pieni poteri, che il parlamento subalpino aveva concesso per le necessitą di guerra, sentendo di non avere nč prestigio, nč forza morale, senza l'appoggio di Cavour, mentre i suoi amici Brofferio e compagni facevano all'abile statista una guerra accanita d'ogni giorno, fu dall'opinione pubblica costretto a dimettersi.
Cavour riprese le redini del governo, e allora tutti i suoi sforzi furono diretti a portare in porto le annessioni, non soltanto dei ducati, delle Legazioni e della Romagna, che si potevano considerare come sicure, ma anche della Toscana, contro la quale l'opposizione di Napoleone III pareva irremovibile.
Facendosi sforzar la mano dall'opinione pubblica, a mezzo del La Farina, a cui scriveva di «chiedere ripetutamente, anche risentitamente» una soluzione; servendosi dell'amicizia inglese per vincere le resistenze di Napoleone; quando si accorse che, nemmeno per questa via poteva raggiungere il desiato intento, si decise al sacrificio di Nizza.
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