Della singolare perseveranza colla quale il Darwin si preparò alla trattazione del grande problema, è primo indizio quel suo lungo silenzio di venticinque anni rotto solo per consiglio e quasi per ingiunzione d'amici. Ma altra prova ci vien pòrta dalla successione cronologica delle sue opere. Una prima opera espone in modo conciso l'intera teoria del trasformismo e ne adduce le testimonianze più evidenti e generali: una seconda reca gli argomenti a favore del principio schiettamente darwiniano dell'elezione: una terza ci presenta un primo saggio di applicazione della teoria, e trattando dell'uomo, accenna alle sue conseguenze ultime: una quarta, una quinta, una sesta approfondiscono date categorie di prove favorevoli e distruggono obbiezioni giudicate da altri come insuperabili: parecchie sono vincolate da una certa analogia di subbiètto e indicano la via che resta da percorrete, secondo il Darwin, a quanti vogliono seguire l'indirizzo da lui dato alla biologia. Tutti questi libri sono il frutto di studii lunghissimi e pazienti, la di cui tenacia quasi atterrisce: mal si comprende come in mezzo alla tendenza vertiginosa e febbrile che domina nell'attività scientifica odierna, vi sia stato un uomo capace di studiare per undici anni centocinquanta varietà diverse di piccioni domestici o di osservare durante due quinti di secolo ciò che i lombrichi terrestri riportano triturato e rammollito coi loro succhi digestivi alla superficie del suolo. Ma questa pazienza era necessaria ed era quasi connaturata nell'ingegno del Darwin: nel quale la coscienza di trovarsi nel vero e di dover vincere era così intima e profonda, che senza alcuna amarezza ei si sarebbe lasciato avanzare dal Wallace purché l'evoluzionismo avesse avuto il sopravvento.
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