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      Io non mi erigo a paladino nè della funzione nè di chi la compie; ma neanco sento di potere erigermi a giudice inesorabile di un fatto che ha le sue motivazioni nella stessa Natura e corrisponde dal momento che esiste ad una utilità: il Sociologo non è un moralista. La Scienza ammette oggi che nulla vi è di assolutamente inutile e di assolutamente dannoso poichè bisogna persino nelle malattie che ci colpiscono con una infezione che è tale solo per noi e non per l'essere infettante guardare di là dai cancelli del nostro antropomorfismo e antropocentrismo. Non altrimenti si spiega che certi popoli antichi non abbiano avuto alcun orrore verso la prostituzione e che qualcuno fra quelli più oggi ammirati l'abbia perfino praticata come usanza sacra; in Grecia antica alle etère più elette nel Giappone moderno fino a pochi anni fa alle «geishe» più celebri si alzavano monumenti! Se è giusto che non si arrivi a questo eccesso neanco ci dimenticheremo che senza parlare della letteratura - e la Dame aux camélias ce lo attesta - anche la Sociologia di spirito più aperto ha difesa e per così dire «moralizzata» la mercenaria di amore. Uno scrittore insigne il Lecky nella sua celebre Storia della Morale Europea ne scrisse questo paradossale panegirico: «La prostituta è il tipo del vizio ed è la custode della virtù; essa è la eterna sacerdotessa dell'Umanità sacrificata per i peccati del popolo» (L. II p. 283). Perchè in fine dei conti gridando tanto contro l'amore venale forse badiamo troppo ai suoi lati peggiori (la rilassatezza dei costumi la diffusione delle malattie veneree e sopratutto della terribile sifilide la servitù delle professionali coercite come un gregge la frequente associazione col delitto con l'alcoolismo e anche col cocainismo in questi ultimi anni) ma badiamo meno ai suoi non facilmente surrogabili bassi servigi.


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Sessualità umana
di Enrico Morselli
Editore F.lli Bocca Torino
1931 pagine 209

   





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