Col preconcetto di trovare nell'Inferno di Dante ripetuta la scala comune dei valori etici
i commentatori sono imbarazzati nello spiegarci come egli abbia tenuto così limitato conto della tavola teologica dei peccati
e pur anco di quella dei valori della morale teoretica. Nel nostro sviluppo sociale noi comprendiamo subito perchè l'omicidio premeditato
l'assassinio dell'inerme o del fiducioso che non si può difendere
massime quando è compiuto a scopo di lucro
sia delitto più grave secondo tutti i Codici: in ciò essi assecondano la morale dei popoli evoluti. A sua volta
l'ateismo trionfante
sia beffardo e bestemmiatore
sia rivoltoso
è dal punto di vista teologico il peccato più punibile dall'ira Divina. Ebbene
non si esiga che la pena più acerba si vegga inflitta all'assassino ed all'ateo consapevole; ben altro doveva essere il suo pensiero dominato dalla politica. Se da un lato egli non ha messo in testa alla scala dei delitti il più atroce sotto l'aspetto sociale e giuridico
dall'altro non si è lasciato intimidire dalla sua fede Cristiana.
Checchè si pretenda oggidì dai commentatori Cattolici
immemori dei tanti Papi bollati dal Poeta
la Commedia non è una espressione di fede ortodossa
come non è un trattato di etica o di diritto: nell'Inferno almeno essa è in moltissimi luoghi una manifestazione di partito
una colossale ripartizione di lodi e di biasimi compiuta da un Giudice universale. Lo riconobbe Arrigo Heine
quando nelle ultime strofe del suo Poema Germania minacciò i Re della sua terra teutonica di trascinarli davanti a quel Giudice immortale
che è un Poeta della forza dell'Alighieri.
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