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      Ma Dante si giustifica assai chiaramente là dove dice che la fraudolenza più grave è quella in cui non solo si offende il sentimento generale di solidarietà e simpatia fra i conviventi ma pure quel vincolo assai più stretto ed immediato che lega gli individui tra loro quando vi sia o parentela o amicizia o ospitalità o promessa formale e ben determinata di fede. Questa fraudolenza a danno di «colui che fida» costituisce il tradire in senso retto; e perciò Dante accomunando il reato sessuale di seduzione a quelli socialmente generici di furto di simonia di ciarlataneria ecc. precorse quegli odierni sociologi che nel fatto della seduzione non scorgono tutto il male da una parte sola ma lo spartiscono tra i due membri della coppia amorosa giungendo ad escluderlo dalle figure criminose passibili di pena.
     
     
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      I fraudolenti che Dante incontra nelle due prime bolgie dell'ottavo cerchio non sono quelli che figurano in testa della terzina enumerante i peccatori delle Malebolge: l'una contiene i lenoni ed i seduttori di donne; l'altra gli adulatori e le lusingatrici dei maschi.
      In nessun luogo dell'Inferno Dante ha provata tanta difficoltà a ravvisare i dannati e le loro pene quanta in queste due bolgie. Ed è una difficoltà veramente simbolica di percezione poichè i peccati ivi puniti sono tra i più tenebrosi ed intimi della reità fraudolenta. Prescindendo per ora dalla interpretazione che dobbiamo dare della colpa di adulazione castigata nella bolgia seconda noi vediamo che queste due valli costituiscono il regno della peccaminosità sessuale in quanto essa mette in esercizio le facoltà razionali dell'uomo: le diremmo il «regno Infernale della vita galante». Qui la sessualità si associa alla fraudolenza per cui è giusto che serva di passaggio tra la cerchia altostante dei violenti nei quali sovrasta l'impulso e le bolgie ulteriori della cerchia latistante dove di mano in mano la istintività diminuisce e prevale la intellettualità nella colpa.


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Sessualità umana
di Enrico Morselli
Editore F.lli Bocca Torino
1931 pagine 209

   





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