Essi costituiscono altrettanti modi di sfruttare quella immissione di idee
di tendenze
di sentimenti nell'animo altrui
che gli psicologi chiamano oggi «suggestione»
la cui massima efficacia in seno alla vita sociale si incontra nel ruffianare
nel sedurre
nell'adulare
nel corrompere. In tutti codesti atti «maligni» il suggestore deve fare uso più abile dell'influsso che ha saputo artificiosamente procurarsi sullo spirito dell'individuo passivo: e se riesce ad indurre in lui i prefissati stati di emotività con dedizione più o meno completa della autonomia volitiva
egli ne ottiene la soddisfazione
o il lucro
o l'interesse agognati.
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Dato questo principio psicologico
non ci possiamo stupire che Dante superi in severità i nostri criteri di valutazione etico-giuridica nei riguardi del lenocinio
il primo dei peccati che egli incontra nelle Malebolge. Questo reato
secondo la Legge Romana
era passivo di infamia: i mezzani venivano colpiti da una vera interdizione nei diritti civili
poichè l'infamato non poteva più godere dei suoi beni
nè avere tutela dei figli
nè ottenere una carica pubblica
nè testimoniare in giudizio
nè prestare giuramento. Il ruffianare poneva
dunque
un cittadino fuori della vita normale. Vero è che nell'Antichità vi erano popoli e luoghi
in cui il lenocinio
non solo era tollerato
ma veniva considerato quale funzione necessaria per la regolazione dei rapporti sessuali liberi fra i due sessi
massime là dove esisteva
più o meno larga
la prostituzione sacra; così in Atene era permesso il pubblico mercato delle etère.
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