Io penso nel secondo senso
poichè la frase amplificatrice
e perciò adulatoria da lui (erroneamente
come vedremo) attribuita a Taide
non era certo un gran peccato che meritasse castigo eterno; mancherebbe ogni proporzione
ed il genio Latino
che è sempre misurato
non poteva commettere simile eccesso di valutazione riprovativa di una semplice parola. Penso
cioè
che Dante abbia voluto colpire la prostituzione in quello che essa ha di più caratteristico
ossia il vendere più caro che le è possibile una merce che vale generalmente assai meno di quanto con le arti della lusinga la venditrice faccia credere al compratore
e il venderla assai spesso avariata.
Qui si trova figurato e colpito un duplice peccato o delitto di frode: l'uno rivolto all'inganno psicologico
e consistente nella falsità dei «segni» e magari delle «ornate parole» accompagnanti la vendita
fino a suggestionare i creduli amatori con sentimenti
o
piuttosto
con sensazioni artificiose ed inesistenti; l'altro
nel portare a rovina il corpo degli imprudenti
che da quelle arti si sono lasciati adulare nell'amor proprio di conquistatori di cuori
e lusingare nella loro capacità di risvegliare sensi dormienti o esausti.
Punire la prostituzione poco lungi dalla seduzione
in fondo
appare logico: essa è fermento del vizio
ossia del peccato. «Non fornicare»
sanzionò la Legge Mosaica
e durante i primi secoli del Cristianesimo il mercimonio del proprio corpo fu considerato
non soltanto nell'individuo
quale grosso peccato
ma pure nel corpo sociale quale atto delittuoso.
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