In moltissimi luoghi la donna
convinta di donarsi per danaro
era sottoposta all'obbrobrio e a pene infamanti. Nell'Europa moderna
non molto prima della regolazione ufficiale dei costumi
che sostanzialmente (in Italia) li ha resi più liberi
le prostitute erano astrette a determinate sedi
allora anche a determinate foggie di vestire
acciò che fossero riconosciute e sfuggite
oppure oppresse dalla loro vergogna e dal disprezzo universale.
Oggi
questo non più
o quasi non più
almeno per le galanti che costituiscono la eletta della classe: del resto
con la mondanità delle mode si torna oggi quasi ai tempi quando nell'Attica
centro di ogni raffinatezza
le etaire passavano per le agore
nude sulla lettiga portata da schiavi
davanti agli occhi assetati di pura Bellezza. Ma la prostituzione non ha solo questi lati eleganti: purtroppo non può negarsi un certo valore alla teoria che essa sia nella donna quello che è nell'uomo la criminalità. Delinquenti e donne perdute hanno molte affinità somatiche e psichiche: lo hanno provato Lombroso e Ferrero; e nella vita sociale gli uni e le altre appartengono a quelle che furono chiamate le classi pericolose degli aggregati civili. Questa dottrina della Scuola antropologica
secondo me
ha punti veri
ma è esagerata: qui però non è il luogo di discuterla; dirò invece che Dante
dannando la prostituzione
ha mostrato di considerarla
non solo un peccato
ma un fenomeno spesse volte criminoso: ciò che corrisponde in massima
qualora vi si aggiungesse il fattore psicopatologico
ai concetti della odierna Sociologia criminale.
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