Se si rilegge il monologo Ovidiano
quando Medea fra sè e sè dibatte il quesito del cedere o no alle proteste d'amore dell'ospite
si ha l'impressione che la breccia nel suo cuore di donna fosse già assai larga: in fondo ai suoi lunghi ragionari
si scorge che la bilancia pende verso il sì:
..... postquam ratione furoremVincere non poterat.....
E poi essa medesima lo riconosce: se cederà
è colpa del suo carattere
del prepotente istinto erotico; non son forse sue le celebri parole
che tutti citano
forse ignorando chi per prima le aveva pronunciate:
..... Video meliora
proboque;
Deteriora sequor......?
Confessione che il genovese Padre Solari
accintosi alla improba fatica di volgere il poema di Ovidio in altrettanti versi italiani
tradusse così:
Restìa
son tratta; altra vuol cosa Amore
Altra il Dover. Veggo il mio meglio
e 'l bramo;
M'attengo al peggio. In uom stranier
chè bruci
Figlia regal?
Veramente
il testo latino dice «regia virgo»; ma se Medea forse vergine era
non sembra che giovinetta più fosse al par d'Isifile; da ciò quella cedevolezza
che agevolava le arti del seduttore
da ciò quel suo «furor»
che sotto lo stiletto di Ovidio Nasone
ben competente per merito di Giulia Augustèa nei trasporti sensuali di amore
è molto significativo.
Certo
difficile
forse inutile
è il tentativo di rifare la psicologia di questi personaggi inventati dall'antica fantasia popolare
quando presumessimo di prestar loro le complicazioni della nostra anima moderna. La mentalità degli Dei e degli Eroi è del tutto primitiva: la intelligenza ne è scarsa
la sentimentalità povera oppure ottusa
la condotta semplice riflesso delle emozioni
degli appetiti o delle passioni; essi sono lo specchio di una psiche spesso selvaggia ancora o barbarica
che li ha creati e messi sugli altari.
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