Ambedue vogliono ingraziarsela
regalandole uno schiavo; il giovanotto le manderà un vecchio eunuco
il soldato più pronto le manda una bella fanciulla sedicenne. Ora accade che un adolescente
fratello di Taide
si innamori di costei e si introduca nella casa della sorella camuffato da eunuco; così riesce a violentare la ragazza ritenendola
come schiava
res nullius. Si scopre invece
come sempre nelle commedie menandree
che essa è una esposta nata libera; ma lo scandalo si sopisce mandando a nozze l'intraprendente giovanetto colla ragazza.
In Terenzio non è Taide che ringrazia con quella ampollosa parola di «ingentes» l'orgoglioso milite Trasone
bensì il parassita Gnatone
che fu messaggiero dell'offerta e della proposta d'amore presso la meretrice. Forse (taluni ne argomentano) Dante ignorava Terenzio
e prese l'aneddoto da un cenno che ne fa Cicerone nel suo De Amicitia
dove la frase
copiata dall'amanuense o letta dal Poeta con una superflua virgolatura
può trarre in inganno il lettore che creda venga attribuita a Taide la risposta data dal parassita e criticata pure da Marco Tullio. Ma sono quisquilie letterarie su cui non oso dir verbo: piuttosto è da porsi il quesito come mai Dante metta all'Inferno una simile donna
se fosse stata soltanto colpevole di quella iperbolica espressione di gratitudine. O il poeta esagerò a sua volta quella piccola colpa
o ebbe
come io penso
un fine alto
sebbene non espresso. Secondo ogni più logica interpretazione del pensiero Dantesco
Taide sintetizza le donne seduttrici e accorte
le femmine procaci e previdenti
che lusingando la vanità e i sensi dei loro adoratori li smungono e li rovinano.
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