Se ne ricordano varî esempî fra popoli ancora semibarbari come i Celti, e fra altri ben più inciviliti come gli Egèi (Mediterranei, Elleni).
Fra i barbari eutanatisti Plinio ci dà contezza degli Iperborei, che "per la salubrità del loro clima vivono a lungo, e più vivrebbero, se noiati della vecchiezza e della vita, non usassero, dopo buoni e allegri conviti, precipitarsi in mare dall’alto di certe rupi destinate a questo orribile ufficio" (BUONAFEDE).
Sul disprezzo dei Celti per la vecchiaja e sulla loro facilità di troncarne il decorso col suicidio, abbiamo la testimonianza di Silio Italico, tanto più importante che il Poeta stesso vien citato come esempio di spontanea eutanasia:
Prodiga gens animae et properare facillima mortem;
Namque ubi transcendit florentes viribus annos,
Impatiens aevi spernit novisse senectam;
Et fati modus in dextra est...".
Nell’isola di Céos, fra le Cicladi, detta ora Zea, narrano Menandro, Strabone, Eliano e Valerio Massimo, che usassero gli abitanti, giunti oltre ai sessanta anni, avvelenarsi, sia per lasciar più mezzi da vivere agli altri, sia per scansare le debolezze e gli acciacchi dell’età, sia perchè riconoscessero di essere ormai divenuti inutili alla patria. È dubbio se il suicidio dei vecchi di Céos fosse imposto da Leggi o non fosse piuttosto una usanza locale, secondo che ritenne il Bayle nel suo famoso "Dizionario". Sappiamo però che a Marsiglia, città di civiltà mista, fra la Greca e la Romana su di un fondo Celtico, il suicidio era autorizzato purchè giustamente motivato.
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