Scrive Valerio Massimo: "Si custodiva pubblicamente in quella città il veleno, il quale si concedeva a coloro che mostrassero di avere buone ragioni di uccidersi ai 600 (DC); chè questo era il numero e il nome del Senato... Era vietato uscir di vita temerariamente, e si prestava un celere passaggio a chi desiderava morire sapientemente" (Lib. II, cap. 6).
Recentemente si è scritto che tali racconti non sono forse veridici, almeno a riguardo di una legislazione apposita (BOUQUET); però il loro numero troppo grande, le analogie con quello che usavan fare altri popoli dei loro vecchi, come vedremo, la stessa morte di Socrate avvenuta per suicidio comandato e riproducente un costume penale di antica origine, lascian credere che quegli autori ripetessero nozioni non soltanto leggendarie, ma tradizionali e storiche.
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L’Eutanasia, propriamente detta, e che io chiamerei "uccisione misericordiosa" o "pietosa", è quella che altri procura ad una persona sofferente di infermità ormai incurabile o molto penosa; ed è quella che fu proposta per troncare le agonie troppo prolungate o dolorose. A queste sue finalità fondamentali giustificabili col sentimento, alcuni aggiungono l’accorciamento della vita a chi, o per incoscienza assoluta dipendente da malattia cerebrale ingenita o acquisita, oppure per decrepitezza colma di acciacchi e di patimenti, non abbia mai avuto o più non abbia la capacità di godere dei benefizi della vita e di rendersi utile al consorzio civile, e perciò risulti come un carico o come un oggetto di ripugnanza per la collettività. Finalità, come si vede, di carattere razionale ed utilitario.
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