Tutti coloro che hanno avuto occasione di attraversare un terreno ove sia avvenuto un combattimento, odono con ribrezzo molti dei morenti chiedere che "per misericordia" li si liberi dalle torture dell’agonia; e presso molti popoli questa è una funzione assunta dai compagni medesimi.
Nelle piccole e grosse bande delle Compagnie di ventura, ai tempi del Trecento e Quattrocento, quali furono descritte dallo storico Cibrario, questa funzione, ma non per pietà, bensì per fini di immediata rapina sui morti, era affidata a malviventi assoldati dai cavalieri stessi sotto il nome pittoresco di "scorticatori". Non ostante i decantati progressi della nostra "Civiltà", durante le guerre moderne, qualche volta i soldati inferociti dal contrasto, ebbri di sangue fino alla carneficina, hanno finito sul luogo a colpi di baionetta o di calcio di fucile i nemici soccombenti; lo si è veduto perfino nell’ultima guerra! Ben rare volte l’uccisione dei feriti è compiuta per vera compassione; durante la Guerra Balcanica del 1912 si seppe che alcuni ufficiali Serbi avevano fornito i mezzi per suicidarsi ad un loro compagno orribilmente mutilato dai Bulgari. Ma per lo più i moribondi sui campi di battaglia, gemebondi ed imbarazzanti, sono accoppati dai saccheggiatori.
Ma venendo alle dottrine con cui si giustifica o si vuole giustificare la Eutanasia nella vita civile e non nella militare, è curioso il notare che essa si è affacciata alla coscienza umana nei maggiori momenti della Civiltà; ne accennarono la teoria parecchi grandi pensatori dell’Antichità, fra cui basta Platone, alcuni non men celebri filosofi del Rinascimento, fra cui Bacone e Moro, ed in questi ultimi tempi molti scrittori di vaglia in Letteratura e in Scienza.
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