Citiamo Aristarco, che si sanò in tal modo la sua idropisia; Erasistrato, cui parve insopportabile la cecità; Pomponio Attico, che preferì alla febbre l’autochiria; Silio Italico, che si liberò di un tumore maligno ricusando ogni cibo; Albuzio Silo, oratore dei tempi di Augusto, che vistosi diventar vecchio e acciaccoso, radunò il popolo in piazza nella sua Novara e, perorata la necessità di finirla, si lasciò morire d’astinenza; ciò che fece pure Cornelio Rufo ai tempi tempestosi di Domiziano. Anche Tullio Marcellino, amico di Plinio, che pur in età ancor giovine preso da "morbo non incurabile, ma lungo e molesto", ubbidì alle persuasioni di uno stoico, e già indebolito dal male si fece consumare le forze a furia di bagni caldi. A sua volta Svetonio parla di un sofista, che stanco di lottare contro una malattia importuna radunò il popolo, gli spiegò le ragioni che lo inducevano ad uccidersi, ne fu approvato, ed eseguì il suo proposito.
Plinio, parlando del suicidio del suo amico Cornelio Rufo, ci dà in modo squisitamente classico la giustificazione del suicidio per malattia. "Cornelio Rufo molte ragioni aveva di vivere: l’ottima coscienza, l’ottima fama, l’autorità grandissima, la buona famiglia e i veri amici; ma una suprema ragione, che ai sapienti è in luogo di necessità, lo spinse a morirsi, perchè di così lunga e iniqua malattia era afflitto, che quelle grandi ragioni di vivere furon vinte dalla ragione di morire" (Lib. I, Epist. 12a).
In tempi assai più presso a noi, sono esempî famosi di eutanasia spontanea il Cancelliere di Federico, Pier delle Vigne, che divenuto cieco e pien di malanni si spezzò la testa contro un muro cosicchè Dante lo punì col metterlo nel suo "Inferno", ed Elisabetta d’Inghilterra, la Regina-Vergine [?], che prescelse morirsi di inedia.
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