Molti di questi alienati sono ridotti quasi alla pura ed anche stentata vita vegetativa; bisogna nutrirli, vestirli, pulirli, spesso imboccarli, togliere loro dalla vescica l’urina, detergerli dalle feci su cui si avvoltolano, impedirne o prevenirne gli atti più osceni e perniciosi, custodirli e isolarli come fossero animali selvatici. I famigliari li hanno abbandonati o ne provano vergogna per antiquato pregiudizio verso i "matti"; i sani che li accostano, ne hanno paura o ribrezzo; gli infermieri e i medici che li assistono, ne sono spesso in compenso minacciati, percossi, colpiti all’impensata fino a morte. Perchè sperperare tante energie morali e materiali?
Secondo certi eutanatisti, noi pecchiamo, in questo difficile Dopo-Guerra, di troppa umanità; scrive infatti il Binding che "la pietà da cui siamo spinti a salvare certe esistenze diviene alla fine una crudeltà"; e con ciò ripete una frase dell’eugenista Lentz. In Germania, dove ha sempre dominato un vivo sentimento etnarchico a scapito dell’umanitarismo di cui si vantano (o di cui soffrono?) i popoli Latini ed Anglo-Sassoni, il Dopo-Guerra ha rivelata la dura necessità di far precedere il così detto interesse collettivo ad ogni diritto individuale: "alla nostra epoca, aggiunge infatti il Binding, noi non dovremmo avere più tanto eroismo da conservare in vita degli esseri diventati così poco umani come i dementi incurabili".
Gli eutanatisti dicono: - Nobile ed umana è certo la nostra pietà per tanti infelici, ma è dessa utile a quei medesimi verso i quali si rivolge?
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