Non sarebbe la morte fisica meno crudele di quella oscurità mentale dello spirito, di quella perdita di ogni consapevolezza, mentre le forze brute animali continuano il loro inutile lavoro? D’altra parte, molti di quegli individui, in cui vediamo spenta ogni sensibilità allo stesso dolore fisico, che vivono come tronchi, senza barlume di intelligenza, in una condizione peggiore delle bestie, o ai quali non possiamo quasi mai impedire che si coprano di schifose, divoranti piaghe di decubito o si alleniscano in preda alla più spietata autofagia..., sono certo condannati a perdere ogni giorno un brano della loro misera carne, a sparire con una desolante lentezza. Tragiche spoglie di una personalità che, dissolvendosi inconsciamente, si inabissa senza resistenza nella eterna notte! Per essi la Medicina è ormai impotente; non giunge loro neppure uno spiraglio di conforto traverso la fitta nebbia della loro incoscienza. Quale vantaggio per essi, per le desolate o indifferenti famiglie, per l’oberata Società civile, si trae dal conservarli ancora in vita? E non sarebbe più pietoso, anzi, diciamo pure, non sarebbe meno crudele abbreviare quelle miserabili vite, troncare quelle orribili, troppo lunghe "agonie" corporee e psichiche?
La paralisi generale progressiva è forse tra le malattie nervose e mentali quella che maggiormente risveglia in molte persone compassionevoli l’idea che se ne dovrebbe terminare artificialmente l’inesorabile decorso. Essa colpisce la personalità umana in tutti e due gli aspetti suoi caratteristici, nel fisico e nel morale; e la colpisce ordinariamente quando il soggetto è nel pieno vigore della vita, allora quando ha raggiunta o sta per avvicinare la méta della sua attività, quando è nel mezzo della sua parabola biologica ed ha per lo più una posizione sociale, acquistata con lunghi sforzi, da consolidare, quando ha famiglia e interessi multipli da proteggere, e, possibilmente, da far progredire.
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