La Signora Ermellina OudinotLecomte du Nouy, stimata autrice di novelle e romanzi, e amica dello scrittore, dopo aver narrato che i famigliari dovettero impadronirsene a viva forza per farlo poi ricoverare nel Sanatorio del dott. Blanche a Parigi (dove morì di demenza paralitica nel luglio 1893), si domandava: "Non era meglio cento volte lasciar morire quel grande sventurato? Si aveva il diritto di imporgli quella lunga agonia? Poichè purtroppo egli, di quando in quando e per lungo tempo, restò conscio del suo stato". Infatti, osservava il drammaturgo Enrico Amic, conversando con la Lecomte du Nouy, "è amar male coloro che si amano, questo desiderio di vederli sopravvivere a sè stessi".
Naturalissimo, questo pensiero di pietà inspirato da casi tragici come quello di Guy de Maupassant; però fortunatamente è raro, quasi eccezionale, almeno nel periodo del delirio, che il paralitico, affetto da spirochetosi cerebrale, abbia coscienza del proprio stato. La lesione diffusa e ad un tempo profonda ed incurabile della sua corteccia cerebrale, nei più dei casi lo eccita così da portarlo all’esaltamento maniaco oscurandogli la percezione della triste realtà e gettandolo anzi, ora in un ottimismo euforico puerile ed assurdo, ora in un delirio colossale di grandezza e felicità che lo tien sodisfatto e quasi beato fino agli estremi. Vi son casi, è vero, nei quali la stessa lesione porta alla depressione del tono neuro-psichico, alla più paradossale concezione pessimistica del guasto corporeo cui il malato si sente in preda; ma sono abbastanza rari, ed inoltre, se la tristezza li contrassegna, non è perchè il paziente si accorga della perdita della sua ragione, come accadde al De Maupassant e agli altri paralitici iniziali che soffrono le sue angoscie, ma perchè le impressioni cenestopatiche gli fanno percepire uno stato generico di malessere più fisico che morale.
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