Dalle tenebre e dagli orrori dei tempi preistorici, corrispondenti per i popoli Mediterranei allo stato selvaggio in cui si trovano adesso le popolazioni dell’Australia, della Polinesia, dell’Africa centrale, quelle usanze si continuarono fino agli albori della Storia; arrivarono anzi, in certi rari casi, fino a soppravvivere in pieno sviluppo della Civiltà.
Così Platone, nel "Timeo", narra che una certa tribù dell’Icnusa (Sardegna) ammazzava i suoi vecchi a furia di bastonate. E Strabone ci fa sapere che nel Nord dell’Asia esisteva ancora ai suoi tempi una popolazione o tribù, presso la quale un individuo giunto a settant’anni era irremissibilmente messo a morte, arrostito e mangiato. Questo orribile costume dell’antropofagia vige tuttora presso molte tribù Africane delle Regioni Equatoriali, ma pare che il motivo della necessità di diminuire la popolazione uccidendo e mangiando i vecchi, sia stato sostituito da credenze animico-religiose o, peggio, da pervertimenti del gusto.
Non si può considerare il costume degli isolani di Céos, di cui ho già fatto cenno, se non come una soppravvivenza di tempi protostorici; v’era questa sola differenza, che in luogo di essere massacrata dai proprî figli e nepoti, la persona avanzata in età, giunto il momento in cui o sponte o spinte doveva ritenersi inutile, veniva invitata ad un banchetto (funebre) e vi era astretta a bere una soluzione, per dir così ufficiale, di cicuta; era il veleno stesso di Socrate, il Conium maculatum, che contiene la conicina, alcaloide abbastanza potente per uccidere alla dose di 10 centigrammi.
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