Il rispetto della vita costituisce il fondamento essenziale della convivenza umana civile, tanto che nei Paesi più avanzati neppure alla collettività, rappresentata dalla Giustizia statale, la sola cui siano permesse le sanzioni penali, si è lasciata la pena di morte. Sembra difficile, di fronte a questo sentimento etico-giuridico vieppiù evoluto e possente, considerare con passivismo indifferente la morte non volontaria, ma procurata da altri, senza che ciò possa significare o indurre un regresso nella nostra sensibilità morale. Ecco perchè i giuristi e i medici che discutono sul tema dell’eutanasia legale, ritengono necessaria una preparazione della mentalità sociale, e intanto cercano di stabilire con gran rigore le legittime finalità dell’eutanasia così privata che statale, le sue limitazioni, e quelle che potrebbero essere le sue garanzie morali e giuridiche.
Queste garanzie varieranno a seconda dello scopo dell’eutanasia. In tutti i casi nei quali la morte potesse essere propinata per sentimento misericordioso verso un paziente disperato, una Legge che autorizzasse date persone ad eseguirla (a prescindere dalle qualità loro, se il medico curante, o i parenti, o se dei possibili "esecutori o fratelli della buona morte!"), dovrebbe anzi tutto stabilire le norme per bene interpretare il consenso della futura vittima; in secondo luogo, prescrivere regole severissime per la verifica dei motivi giustificanti l’atto. Una di queste regole, forse la più sostanziale, consisterebbe nell’accertamento della diagnosi di quella tal malattia ritenuta per assolutamente incurabile, oltrecchè inguaribile (cose, queste due, lo ripeto, assai diverse), e della assoluta intollerabilità dei suoi dolori.
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